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“E” come Elisabetta

dal catalogo ELISABETTA GUT_ALPHABETS a cura di Paolo Cortese e Rosanna Ruscio edito da Gramma_Epsilon in occasione della retrospettiva tenutasi ad Atene dal 13 marzo al 13 giugno 2025

“Chiedo ad Elisabetta di spiegarmi le opere che abbiamo scelto insieme, per un progetto da presentare in un’importante fiera internazionale (1).
Siamo vicini alla portafinestra che dal suo salotto porta al giardino e che insolitamente è aperta. Lei mi indica la grande magnolia che giganteggia davanti a noi e con la sua voce roca mi dice: “Un giorno ho raccolto una foglia da terra, l’ho presa in mano, l’ho guardata… ed era un libro!” Contemporaneamente fa la mossa di schiudere le mani giunte come se aprisse un libro, poi aggiunge “È come in quella canzone… – e accenna il motivo della famosa canzone di Sergio Endrigo – Ci vuole un fiore, per fare un libro, ci vuole l’albero!” (2).

Per Elisabetta tutto risponde a regole ben precise che però non sono facilmente accessibili e visibili. Seguendo il filo nascosto dei suoi pensieri continua “I lavori non vanno spiegati, vanno capiti”. Io, che la conosco, non chiedo nulla e aspetto. Si gira e si guarda intorno. Seguo il suo sguardo, le pareti del salone sono tappezzate di lavori che appartengono a epoche differenti. Il colore prevalente è decisamente il bianco, molti sono assemblage geometrici di stampo costruttivista e hanno sottili inserti neri o color alluminio. In alto, sopra un grande mobile libreria, ci sono dei prismi in perspex ingialliti dal tempo e dal fumo. Sulla scrivania e sul tavolo da disegno sono disposti in maniera ordinata i lavori di poesia visiva, alcuni dei quali attendono pazienti da anni di essere terminati. Su basi bianche di differenti dimensioni, protetti da teche di perspex, ci sono i libri oggetto che rappresentano forse i lavori per i quali, oggi, è maggiormente conosciuta.

“La gente non capisce niente – esordisce riferendosi ai galleristi – è come per i musicisti: prima impari le note, studi il solfeggio, fai le scale, poi inizi con le piccole sonatine, la musica da camera, le sinfonie e poi suoni il jazz!” Si gira verso di me “La poesia visiva è il jazz! Se io non avessi fatto tutto questo prima, non avrei mai potuto fare lavori come quelli!” dice indicandomi con lo sguardo gli Strumenti musicali (3). Mi avvicino per guardarli meglio. Sono dei collage su fogli Fabriano A4, incollati su una basetta di legno e chiusi in una teca di plexi. Al loro interno su sottili supporti di cartone sono fissati frammenti di scritture musicali, semi essiccati e piume, mentre fili di cotone nero, come corde di strumenti musicali, sono tesi attraverso minuscoli forellini.

Non avevo mai messo in relazione quei piccoli capolavori di poesia visiva con le serie delle Fughe, dei Contrappunti o degli Aquiloni realizzate anch’esse negli anni ‘70 (4).

A pensarci bene, in tanti anni non sono mai riuscito a vedere, se non di sfuggita, i suoi lavori precedenti, quegli degli anni ‘50 e ’60 che dopo la grossa mostra curata da Mirella Bentivoglio a Macerata nel 1981 (5), Elisabetta non ha mai più voluto esporre, come se rappresentassero un’ipoteca sulla sua adesione alle neo avanguardie logo-iconiche.

Quando a pochi mesi dalla sua scomparsa (6) sua figlia Bettina mi ha chiesto di aiutarla ad organizzare il suo archivio, ho finalmente avuto accesso all’intero corpus delle sue opere e tutto quello che avevo sentito raccontare da lei, ha preso forma come un puzzle che nella sua interezza, ma anche nelle sue più piccole tessere aggiungerei, racchiude l’essenza dell’arte e della persona di quest’artista straordinaria: Elisabetta Gut.

Sfogliando gli album dei primi anni ’50, quando ancora frequentava l’istituto d’arte, e aprendo le cartelle piene di studi, progetti ed esercitazioni, non si può fare a meno di notare la padronanza del segno e dell’uso del colore. Il segno è fermo, deciso e incisivo, anche quando vuole essere intenzionalmente leggero. Gli accostamenti cromatici sono coraggiosi, forti e contemporanei. Niente lascia prevedere che nel giro di dieci anni la sua produzione virerà verso una rinuncia quasi totale del colore.

Al contrario l’interesse rivolto alla dimensione spaziale, anch’essa presente già nei lavori di quei primi anni, rimarrà una costante nella ricerca dell’artista (7), riscontrabile in tutte le molteplici fasi del suo lungo percorso.

Sin dalla prima personale, tenuta alla galleria Cairola di Milano nel 1956 e presentata da Felice Casorati, Elisabetta riscuote un grosso successo di critica e di mercato vendendo la maggior parte dei lavori esposti. In questa prima fase, dove si fa firma Elisa (8), potremmo dire che l’artista sperimenta ancora i mezzi che ha a disposizione e ne affina la padronanza, per questo la sua attenzione è come se fosse rivolta all’esterno. Ma dai primi anni ’60 rapidamente tutta l’energia è convogliata verso quella ricerca del se’ che la accompagnerà sempre e che caratterizzerà costantemente il suo lavoro.

In questo senso va intesa la selezione delle opere qui presentate che datano dai primi anni ’60 fino a tempi recentissimi. L’intenzione è quella di sottolineare il fil rouge che le lega, quella irresistibile spinta dell’ego ad emergere per trovare, attraverso le opere, una imperitura celebrazione. Naturalmente questo percorso, nel tempo, attraversa fasi distinte, ma non è un caso che la prima opera di questa mostra Alla ricerca del tempo perduto (Proust) del 1961 e l’ultima, Ego del 2018, anche nei loro titoli siano esemplificative dei termini attraverso i quali si snoda questa lunga parabola creativa.

P.C.

Note:

1. Conversazione avvenuta a Roma a casa dell’artista, nel mese di settembre 2019. Il progetto a cui si fa riferimento è Three Aprochaes to Poetry: M.Bentivgolio, A.Etlinger, E.Gut, Artissima Oval Lingotto, Torino, Novembre 2019.
2. Ci vuole un fiore canzone di Sergio Endrigo, testo di G.Rodari, 1974.
3 L’artista ha realizzato diverse serie di Strumenti musicali esposte nelle seguenti mostre personali: Semi e segni, Galleria Cortese & Lisanti, Roma, 2009; Books Without Words: The Visual Poetry of Elisabetta Gut, National Museum of Women in the Arts, Washington, USA, 2010; Cutting through: the art of Elisabetta Gut, Maitland Regional Art Gallery (MRAG), Maitland, Australia, 2012.
4. Si tratta di tre serie di assemblage realizzati tra il 1972 e il 1978 ed esposti nelle seguenti occasioni: Gut, Palazzo Arengario, Monza, 7-18 dicembre 1973; X Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma. Artisti stranieri operanti in Italia, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 9 giugno – 10 luglio 1977; Elisabetta Gut 1956-1981: un filo ininterrotto, a cura di M.Bentivoglio, Pinacoteca e Musei Comunali, Macerata, 1981.
5. Elisabetta Gut 1956-1981: un filo ininterrotto, Ibidem.
6. Elisabetta Gut si spegne a Roma il 16 maggio 2024.
7. Cfr. N.Ponente, 1970; M.Torrente, 1973; G.Montana, 1976; M.Bentivoglio, 1981, 2009.
8. L’artista inizialmente quando firma per esteso utilizza il suo nome di battesimo, Elisa.

The Different Revolution

Martedi 12 Novembre Gramma_Epsilon Gallery ad Atene inaugura la mostra collettiva “The Different Revolution” curata da Paolo Cortese.

Questa rassegna, un cui preview è stato presentato durante Artissima 2024, vuole documentare la ricerca che hanno portato avanti 20 artiste, per lo più italiane, dagli anni 70 del secolo scorso.

Cinquant’anni di battaglie, di lotte e discussioni per far uscire la donna dai margini di una società che non la voleva mai davvero al centro della storia. Una protesta portata avanti nei modi più diversi: la politica, il teatro, i cortei studenteschi ma anche la sfida unica del talento che si batte usando l’arte per farsi ascoltare: sono queste le interpreti che hanno saputo scrivere quel pezzo di storia in modo davvero imprevedibile. 

Donne che in un clima di costante contestazione anni Settanta, rivendicano con forza un ruolo che non può più essere negato: nascono così i collettivi femminili che mettono in comune le esperienze per sostenersi a vicenda. Molte artiste scendono in piazza e prendono parte in prima linea alle manifestazioni, altre portano avanti la loro rivoluzione in maniera differente, all’apparenza meno vistosa ma dotata di una potenza difficile da misurare.

La scelta di utilizzare in assoluta libertà quello che era a loro più vicino e congeniale come strumento per fare arte se da un lato mise queste coraggiose pioniere fuori dal mercato, dall’altro permise loro di sperimentare in totale autonomia un nuovo universo di materiali, indagandone le proprietà e a volte spingendosi fino ai limiti estremi. 

Negli anni ‘70 e ‘80 è soprattutto Mirella Bentivoglio a sostenere la lotta per l’emancipazione femminile curando rassegne riservate a donne artiste. Gramma_ Epsilon Gallery porta avanti quell’impegno proponendo al pubblico queste artiste straordinarie che hanno dedicato il lavoro di una vita a quella sfida.

La loro rivoluzione è stata potente, intellettuale e, a volte, silenziosa. Hanno usato l’arte come strumento per manifestare in concreto, materializzare, la loro visione interiore, i loro sogni.

Queste artiste sono state un potente cavallo di Troia per abbattere ogni tipo di barriera e permettere a tutte le donne di concretizzare i loro sogni e vivere la loro quotidianità senza dover rinunciare al ruolo che la società dell’epoca imponeva loro.

Artiste: Mirella Bentivoglio, Tomaso Binga, Sara Campesan, Francesca Cataldi, Chiara Diamantini, Lia Drei, Anna Esposito, Elisabetta Gut, Maria Lai, Rosanna Lancia, Gisella Meo, Clemen Parrocchetti, Giustina Prestento, Renata Prunas, Lilli Romanelli, Anna Maria Sacconi, Alba Savoi, Greta Schödl, Franca Sonnino, Anna Torelli.

HISTOIRE D’E part 2 “between language and object”

A Roma e ad Atene si svolge in contemporanea Histoire d’E, mostra curata da Paolo Cortese e Francesco Romano Petillo, che vuole rendere omaggio a Mirella Bentivoglio nel suo duplice ruolo di curatrice e artista..

Histoire d’E narra storie di donne, di amicizie, di legami e di separazioni. Racconta di come negli anni ‘70, le artiste donne abbiano iniziato a scrivere la loro storia indipendente; di come il totale disinteresse da parte del mercato permise loro di sperimentare in piena libertà.

Testimonia Francesca Cataldi: “La profonda ingiustizia che subivamo all’epoca si rivelò in realtà una grande opportunità e, da una prospettiva storica, fu la nostra fortuna”.

In Italia fu Mirella Bentivoglio ad accendere i riflettori su questa discriminazione generalizzata raccogliendo, in una rassegna curata per la Biennale di Venezia del 1978, oltre 80 artiste provenienti da tutto il mondo che lavoravano tra linguaggio e immagine.
Spiega Bentivoglio nel catalogo: “Smaterializzata in passato nella sublimità astratta della sua pubblica immagine, parallela alla sua pubblica assenza; privatamente confinata nel contatto quotidiano e esclusivo con le materie, la donna oggi pone tutta sé stessa in un mondo derealizzato nei meccanismi ripetitivi. Le nuove forme di poesia sono la riappropriazione di ciò che lei, insieme con l’uomo, ha elaborato dalle sedi primarie dell’esistenza, il linguaggio”.
“Materializzazione del linguaggio”, questo era il titolo della storica mostra del ‘78, non fu un caso isolato. Già dai primi anni ’70, e successivamente per oltre 30 anni, Mirella Bentivoglio curò esposizioni dedicate alle donne.

Historie d’E, titolo preso in prestito ad una sua mostra londinese del 1988, vuole, a oltre trent’anni di distanza, rendere omaggio a questa grande artista e curatrice italiana.
Il progetto è articolato in due mostre: la prima, “Between language and image”, presenta lavori di Poesia Concreta, di Poesia Visiva e documenta le sperimentazioni di visualizzazione del suono; la seconda invece, “Between language and object”, pone l’accento sulla ricerca e la sperimentazione tridimensionale, scultorea, raggiunta da queste donne attraverso un processo catartico di sdoganamento della dimensione domestica “che fu per molti secoli il loro regno e la loro prigione” (M. Bentivoglio)

ARTISTE: Mirella Bentivoglio, Francesca Cataldi, Nedda Guidi, Elisabetta Gut, Maria Lai, Rosanna Lancia, Gisella Meo, Patrizia Molinari, Renata Prunas, Anna Maria Sacconi, Alba Savoi, Maria Jole Serreli, Franca Coen Sonnino

ROMA: Spazio indipendente Lettera_E dal 10/12/2021  al 10/01/2022


ATENE: Gramma_Epsilon dal 30/11/2021 al 12/02/2022

Histoire d’E – part 1

Between language and image

A Roma e ad Atene si svolge in contemporanea Histoire d’E, mostra curata da Paolo Cortese e Francesco Romano Petillo, che vuole rendere omaggio a Mirella Bentivoglio nel suo duplice ruolo di curatrice e artista..

Histoire d’E narra storie di donne, di amicizie, di legami e di separazioni. Racconta di come negli anni ‘70, le artiste donne abbiano iniziato a scrivere la loro storia indipendente; di come il totale disinteresse da parte del mercato permise loro di sperimentare in piena libertà.

Testimonia Francesca Cataldi: “La profonda ingiustizia che subivamo all’epoca si rivelò in realtà una grande opportunità e, da una prospettiva storica, fu la nostra fortuna”.

In Italia fu Mirella Bentivoglio ad accendere i riflettori su questa discriminazione generalizzata raccogliendo, in una rassegna curata per la Biennale di Venezia del 1978, oltre 80 artiste provenienti da tutto il mondo che lavoravano tra linguaggio e immagine.
Spiega Bentivoglio nel catalogo: “Smaterializzata in passato nella sublimità astratta della sua pubblica immagine, parallela alla sua pubblica assenza; privatamente confinata nel contatto quotidiano e esclusivo con le materie, la donna oggi pone tutta sé stessa in un mondo derealizzato nei meccanismi ripetitivi. Le nuove forme di poesia sono la riappropriazione di ciò che lei, insieme con l’uomo, ha elaborato dalle sedi primarie dell’esistenza, il linguaggio”.
“Materializzazione del linguaggio”, questo era il titolo della storica mostra del ‘78, non fu un caso isolato. Già dai primi anni ’70, e successivamente per oltre 30 anni, Mirella Bentivoglio curò esposizioni dedicate alle donne.

Historie d’E, titolo preso in prestito ad una sua mostra londinese del 1988, vuole, a oltre trent’anni di distanza, rendere omaggio a questa grande artista e curatrice italiana.
Il progetto è articolato in due mostre: la prima, “Between language and image”, presenta lavori di Poesia Concreta, di Poesia Visiva e documenta le sperimentazioni di visualizzazione del suono; la seconda invece, “Between language and object”, pone l’accento sulla ricerca e la sperimentazione tridimensionale, scultorea, raggiunta da queste donne attraverso un processo catartico di sdoganamento della dimensione domestica “che fu per molti secoli il loro regno e la loro prigione” (M. Bentivoglio)

ARTISTE: Marilla Battilana, Mirella Bentivoglio, Tomaso Binga, Betty Danon, Chiara Diamantini, Anna Esposito, Amelia Etlinger, Fernanda Fedi, Elly Nagaoka, Giustina Prestento, Greta Schödl, Chima Sunada, Anna Torelli

ROMA: Spazio indipendente Lettera_E dal 15/9  al 15/10/2021


ATENE: Gramma_Epsilon dal 30/9 al 25/11/2021

A proposito di E

Le strutture simboliche della Bentivoglio nascono strettamente dalla pratica di simbolizzazione del linguaggio e dalle sue implicanze di correlazioni semiologiche.
“A livello grafico” precisa Mirella, “le E sono nate nel ’73. E = congiunzione è un testo di quell’anno con una struttura labirintica formata da “E” congiunte. Dal ’77 ho cominciato a usare le E in tre dimensioni; e dal ’78 in grande misura con proposte di inserimento nel contesto urbano. (…) La E è il rapporto, la pluralità. “O” è “Oppure”. “E” è “Anche”. L’uovo è l’alternativa femminista, le E sono il risultato di un rapporto aperto e paritetico, tra tutto ciò che è complementare”. La “E” è la prosecuzione “liberata” della H, che nel mio mondo di segni rappresentava la chiusura, la biforcazione e il dividendo, il logos come sistema auto funzionante. In HO (Io ho) le H erano tante, e formavano una gabbia; la O era sola. Le E sono tante, come erano le H, ma non formano gabbie”.

Un saluto a Bruno

Il 1 febbraio ci ha lasciati Bruno Conte, artista delicato e raffinato, ma al tempo stesso concreto, uomo di poche parole e di profonda umanità; di lui mi avevano colpito la discrezione, l’acutezza, la capacità di percepire e di mettere in luce aspetti non evidenti agli occhi di tutti. C’eravamo conosciuti nel 2006 tramite Mirella Bentivoglio e di lì a poco avevamo organizzato nella nostra galleria la mostra PAGINE IMMAGINE (M.Bentivoglio, B.Conte, E.Villa). In quell’occasione tenne, con Mirella, una spiegazione del suo lavoro e della Poesia Visiva, catturando il pubblico con la sua pacata eloquenza. Voglio ricordarlo qui con una sua poesia scritta negli anni ’60

Il mattino la schiuma del sapone sul mento
proponimenti per l’avvenire seguendo le pieghe della schiuma
poi la scrivania, il pranzo, il pomeriggio che è una fotografia del pomeriggio
la sera dinnanzi allo schermo luminoso
e tutto il guscio è ormai concluso.

A Tomaso Binga il Premio Elio Pagliarani alla carriera

Il 24 novembre si è svolta la 6° edizione del Premio Nazionale Elio Pagliarani. Questa prestigiosa istituzione, guidata da Cetta Petrollo Pagliarani, da anni persegue lo scopo di promuovere e valorizzare, nello spirito sperimentale del poeta romagnolo, la scrittura poetica e la ricerca letteraria che dimostrino qualità creative ed espressive originali nell’innovazione linguistica. Il premio speciale alla carriera quest’anno è stato conferito a Tomaso Binga per la sua opera di poeta e artista. Come sempre il premio consiste in un’opera d’arte originale del nostro tempo, in questa occasione un’opera di Mirella Bentivoglio, donata dalle eredi dell’artista rappresentate da Paolo Cortese, curatore dell’archivio.

Il premio Pagliarani, articolato nelle sezioni Poesia edita, Poesia inedita, ha visto in quest’edizione tra i finalisti: Aldo Nove, Laura Cingolani, Laura Accerboni, Mauro Barbetti, Francesca Gironi. I vincitori sono stati: Aldo Nove per la sezione Poesia edita (Einaudi), e Mauro Barbetti per la sezione Poesia inedita.

Le Parole che ho detto

Dal 7 al 17 Marzo 2020 Mancaspazio ospita una personale di Antonio Del Donno, curata da Chiara Manca e Paolo Cortese. Si tratta di una serie di lavori su carta, alcuni degli anni ’70, in gran parte inediti.

L’artista beneventino, legato alla Pop Art americana e al concettualismo italiano, realizza opere che offrono al vasto pubblico una serie di messaggi immediatamente leggibili, sintetici, quasi imperativi.

Nelle sue opere è sempre presente una propaganda contro il consumismo e la superficialità, attraverso le parole dei Vangeli, che prima prima in forma di libro in legno e poi su carta, caratterizzano la sua poetica dagli anni Settanta.

Del Donno non ha mai esposto in Sardegna, sembrava pertanto doveroso omaggiare anche nell’Isola un artista così significativo per il panorama artistico nazionale ed internazionale, le cui opere oggi sono esposte in permanente ad esempio, nella Sala Contemporanea dei Musei Vaticani, al Los Angeles Country Museum, al Museo Espanolo de Arte Contemporaneo di Madrid, alla Biblioteca Centrale Nazionale di Firenze, al Museum of Modern Art di New York e Oxford e alla Columbia University solo per citarne alcuni.

La mostra è stata realizzata in collaborazione con l’Archivio Antonio Del Donno e il suo Direttore Alberto Molinari, è curata da Chiara Manca e Paolo Cortese, il catalogo è stato realizzato da Sara Manca con fotografie di Nelly Dietzel e le traduzioni in inglese dei testi di Shahrazad Hassan.