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A proposito di E

Le strutture simboliche della Bentivoglio nascono strettamente dalla pratica di simbolizzazione del linguaggio e dalle sue implicanze di correlazioni semiologiche.
“A livello grafico” precisa Mirella, “le E sono nate nel ’73. E = congiunzione è un testo di quell’anno con una struttura labirintica formata da “E” congiunte. Dal ’77 ho cominciato a usare le E in tre dimensioni; e dal ’78 in grande misura con proposte di inserimento nel contesto urbano. (…) La E è il rapporto, la pluralità. “O” è “Oppure”. “E” è “Anche”. L’uovo è l’alternativa femminista, le E sono il risultato di un rapporto aperto e paritetico, tra tutto ciò che è complementare”. La “E” è la prosecuzione “liberata” della H, che nel mio mondo di segni rappresentava la chiusura, la biforcazione e il dividendo, il logos come sistema auto funzionante. In HO (Io ho) le H erano tante, e formavano una gabbia; la O era sola. Le E sono tante, come erano le H, ma non formano gabbie”.

ELISABETTA GUT

Il mio rapporto con Elisabetta Gut si consolida in occasione della sua personale Semi e Segni alla galleria Cortese & Lisanti, curata da Mirella Bentivoglio nel 2009. L’anno successivo è invitata sempre da Mirella Bentivoglio a partecipare con due opere alla mostra Venti libristi, importante rassegna dedicata al libro-oggetto.

Libro foglia, 1990
La natura è incorreggibile, 1990

Altro momento significativo del nostro sodalizio è indubbiamente la mostra Threading Spaces, da me curata nel 2019 presso la galleria londinese Repetto, grazie alla quale Elisabetta Gut espone in Inghilterra per la prima volta. Da allora mi occupo dei progetti a lei dedicati per conto di Repetto Gallery e ne curo il profilo Instagram.

Personale di Elisabetta Gut, Galleria “Il Carpine”, Roma, 1967

“In giovinezza ha percorso tutti i gradini di una preparazione artistica vera e propria, con precisione professionale, per poi legarsi con fortuna ai gruppi dei nuovi poeti sperimentatori. E ha fatto questa scelta pur avendo tutte le strade aperte nel mondo delle arti strettamente visive; stimata da artisti come Lucio Fontana e da critici rigorosi come Nello Ponente, ha preso la sua decisione in totale fedeltà a sé stessa. Nella mescolanza dei codici, ossia nell’uso congiunto di segno scrittorio e immagine, ha ritrovato, dell’infanzia, la libertà da ogni schema, la freschezza immediata delle prime intuizioni culturali dell’uomo e della storia pervase di natura.”

Mirella Bentivoglio in Semi e segni, 2009

Donna che salta la sedia, 1982
Arabesque, 1986

Elisabetta Gut nasce a Roma nel 1934 ma trascorre l’infanzia a Zurigo. A Roma frequenta l’Istituto d’Arte e, dopo una prima esperienza pittorica di impronta post-cubista e poi informale, si avvicina alle neoavanguardie verbovisive che si andavano formando in ambienti letterari. Così inizia a sperimentare il rapporto tra immagine e scrittura, elaborando collages e assemblages nei quali inserisce frammenti scritturali ed elementi vegetali.

Note sfumate, 1983

“Negazione e affermazione per quest’artista si identificano. Fu la prima ad usare il filo come segno di cancellazione e di scrittura musicale, pentagramma e insieme corda per vibrazioni inudibili. Ed è proprio la sua scontrosità a garantire la sua intensità. Il difficile, in operazioni che, come questa, riprendono un’iconografia largamente connotata come poetica, è la capacità di sottrarla ad ogni poeticismo predisposto, per riacquisire, grazie al magistero della fantasia, una freschezza nativa dentro le strutture stesse della cultura.”

Mirella Bentivoglio in Plume de Poète, 1989

FRANCA SONNINO

Ho conosciuto Franca Sonnino nel 2007 grazie a Mirella Bentivoglio, in occasione della mostra Pagine Immagine. Nel 2010 l’ho invitata a esporre due opere nella mostra Venti libristi, curata dalla stessa Bentivoglio per la galleria Cortese & Lisanti. Negli anni la nostra collaborazione si è intensificata e nel 2019 ha preso parte alla mostra Threading Spaces, curata da me per Repetto Gallery; da allora Franca Sonnino è entrata a far parte della scuderia della galleria londinese e a essere presente con suoi lavori nelle maggiori fiere internazionali. Il mio impegno per la promozione del suo lavoro si svolge attraverso un piano pluriennale articolato comprendente differenti progetti curatoriali espositivi ed editoriali, l’individuazione di partnership, la progettazione e la gestione dei suoi profili social e del suo sito web, la creazione e la gestione del suo archivio.

Da sinistra: Luigi Scialanga, Franca Sonnino, Mirella Bentivoglio, Maria Lai, 1980

Io con la famiglia Sonnino e i Repetto

Franca Sonnino nasce a Roma nel 1932. Dopo essersi laureata in lettere inizia, nei primi anni ’70, il suo percorso artistico dedicandosi alla pittura sotto la guida di Maria Lai. Di lei Franca ricorderà:

“Mi rivolsi a Maria per prendere lezioni di disegno. Inizialmente
si dimenticava sempre di quella promessa, la dovevo inseguire… Poi abbiamo iniziato piano piano. Però non mi piaceva tanto disegnare. Lei mi disse che non era fondamentale saper disegnare. Smisi e cominciai a lavorare con le mani, con il filo che usavo molto per fare la maglia. Ho capito che, partendo
da quella materia che mi era già familiare, potevo fare tante altre cose.”

Il filo, già presente come soggetto dei suoi quadri, diventerà presto il suo medium privilegiato sostituendo definitivamente, dalla fine degli anni ‘70, il pennello. A tal proposito Mirella Bentivoglio scrive:

“Franca Sonnino è un’artista che sente lo spazio e, pur usando un medium minuto come il filo, “ fa largo”. Questa artista riscatta la domesticità del filo nell’ampiezza del contesto in cui lo inserisce; ha fatto mattoni di filo, e muri di questi mattoni, quasi a sfida di un’assenza millenaria della donna – la tessitrice – dalla costruzione della casa, che fu la sua prigione e il suo regno.”

Muro appeso al chiodo, 1982
Place Vendôme, 1987

Il lavoro di Franca Sonnino non segue rigorose regole matematiche ma è dettato piuttosto da una spinta poetica interiore, legata a un impulso emotivo irrazionale ma al tempo stesso sensoriale. La storica dell’arte Franca Zoccoli sintetizza così:

“Le opere della Sonnino giungono a compimento per lenta progressione, con una crescita organica, segmento dopo segmento, maglia annodata dopo maglia. Come i prodotti di natura, ricusano gli astratti rigori euclidei, non sono mai regolari o perfettamente simmetriche.”

Libro nero e Libro con scrittura, Artissima, Torino, 2020
Campi coltivati 2, 1988

MIRELLA BENTIVOGLIO

Ho conosciuto Mirella Bentivoglio nel 2007, mentre organizzavo una mostra su Shu Takahashi. Mi chiamò perché possedeva un’opera dell’artista giapponese e voleva venderla, così andai a trovarla. La cosa che mi colpì maggiormente fu la sua estrema vitalità. Mi mostrò velocemente l’opera di Takahashi e poi si mise a parlare del suo lavoro. Iniziò così un’amicizia che ha molto influenzato il mio modo di vedere l’arte e non solo.

Inaugurazione della mostra I silenzi di Anna Torelli, 2008

Mirella Bentivoglio nasce a Klagenfurt nel 1922 da genitori italiani. Autrice fin dalla prima giovinezza di libri di poesie in italiano e in inglese, in seguito sente il richiamo dell’uso congiunto di linguaggio verbale e immagine, legandosi alle neoavanguardie verbovisive internazionali della seconda metà del Novecento. La sua ricerca si incentra sul rapporto, giocoso o inquietante, tra linguaggio e immagine che elabora in forma di poesia oggettuale, installazioni e performance, dove ricorrono simboli quali l’uovo, il libro, l’albero.

Il libro-oggetto è uno dei temi centrali della sua produzione artistica e critica. La sua ampia cultura e profondità di visione le consentono di indirizzare gli sviluppi delle sperimentazioni sul tema, intervenendo anche a supporto del lavoro di altri artisti. Mirella Bentivoglio, infatti, diviene presto il punto di riferimento di una nutrita schiera d’artisti, ma soprattutto artiste, operanti in Italia e all’estero a partire dagli anni Sessanta.

Nel 1978 cura per la Biennale di Venezia la mostra Materializzazione del linguaggio, dove espone lavori di 80 artiste, italiane e straniere, la cui ricerca si concentra sul rapporto tra linguaggio e immagine. A distanza di decenni questa rassegna resta un unicum che ci regala una visione d’insieme sullo stato dell’Arte al Femminile degli anni Settanta, sicuramente ai margini dell’establishment e del mercato, ma proprio per questo capace di esprimere totale libertà e sperimentazione autentica.

Autoritratto in auto (e fuori), 2004

Come spiega la Bentivoglio nel catalogo della mostra, “la poesia della donna tende spesso alla specularità, circolarità, complementarietà, primarizzazione sottile o violenta. E se è vero che nel suo risultato finale l’espressione poetica, di uomo o di donna che sia, è sempre totale, ermafrodita, è anche vero che il raggruppamento di molte opere provenienti da tempi e da luoghi disparati evidenzia certe costanti di scelte e di procedimenti.”

Con Leonetta Bentivoglio ai Frigoriferi Milanesi durante la mostra Il soggetto imprevisto. 1978 Arte e Femminismo in Italia, 2019

Da forte a pianissimo, 1980
Catalogo mostra Materializzazione del linguaggio, Magazzini del Sale alle Zattere, Venezia, 1978
Fou/lard (Il foulard folle), 1971
Strutture simboliche – E, mutilazione per accentuazione, 1978

Quando Mirella arriva alla galleria Cortese & Lisanti, portando questo enorme bagaglio di esperienze, nasce una collaborazione proficua che imprime una direzione nuova e inaspettata al mio lavoro. Tra il 2007 e il 2011 Mirella Bentivoglio ha partecipato a numerose mostre della galleria, sia come curatrice che come artista, portando nomi di rilievo come Franca Sonnino, Elisabetta Gut, Antonio Del Donno, Bruno Conte, Emilio Villa, Gisella Meo, Anna Torelli, Chima Sunada, Toni Bellucci, Giustina Prestento e Chiara Diamantini.

Dopo la sua morte, avvenuta a Roma nel 2017, ho rinnovato il mio impegno nella promozione della sua opera coadiuvando la famiglia attraverso la creazione e gestione di un archivio digitale, di un sito web, del suo profilo Instagram ufficiale, la gestione delle autentiche e la cura dei rapporti con l’esterno.

Pannello per finestra di città. Addio (agli alberi), 1971